Pensione di reversibilità negata: INPS vince in cassazione e toglie il sussidio

Una sentenza che fa discutere e che rischia di cambiare per sempre il futuro di chi chiede la pensione di reversibilità.

Quando si parla di pensione di reversibilità, la percezione comune è che si tratti di un diritto automatico, quasi scontato. Eppure, le aule di tribunale raccontano una realtà molto diversa, fatta di ricorsi, cavilli e sentenze che non sempre si concludono a favore dei cittadini. L’ultimo caso, arrivato fino alla Suprema Corte, ha visto l’INPS uscire vincitore, con una decisione che segna un precedente pesante e che potrebbe influire su centinaia di richieste simili.

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Pensione di reversibilità negata: INPS vince in cassazione e toglie il sussidio. (Costadeitrabocchimob.it)

La vicenda riguarda una donna che aveva chiesto la pensione di reversibilità del padre, deceduto nel lontano 1990. La domanda è stata presentata però solo nel 2009, ben diciannove anni dopo la morte del genitore. Una circostanza che, come prevedibile, ha sollevato dubbi e contrasti legali fino a giungere in Cassazione. E qui, contro ogni aspettativa di chi confidava in una decisione più morbida, l’INPS ha ottenuto ragione.

Il nodo della prescrizione: un dettaglio che fa la differenza

Il cuore della controversia sta tutto nella prescrizione: la legge prevede che la richiesta di reversibilità debba essere presentata entro dieci anni dalla morte del familiare. Trascorso quel termine, il diritto si estingue, salvo particolari eccezioni. Nel caso specifico, la donna aveva superato ampiamente quella soglia, e nonostante i primi due gradi di giudizio le avessero dato speranza, la Cassazione ha ribaltato tutto.

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Il nodo della prescrizione: un dettaglio che fa la differenza. (Costadeitrabocchimob.it)

Il punto interessante è che l’INPS, nel suo ricorso, non aveva nemmeno specificato con precisione da quando far partire la prescrizione. Un “buco” che inizialmente aveva fatto traballare le sue ragioni, tanto da far pensare che l’ente sarebbe stato costretto a pagare ugualmente. Ma la Suprema Corte ha stabilito che non spetta all’INPS calcolare i termini in modo puntuale: è compito del giudice individuare la decorrenza, sulla base degli atti e dei fatti presentati. Un chiarimento che, tradotto in pratica, semplifica enormemente la strada per l’ente previdenziale.

La conseguenza? Molte richieste tardive o incomplete rischiano di essere respinte più facilmente, senza bisogno di complicati calcoli o motivazioni articolate da parte dell’INPS. Il giudice, d’ora in poi, sarà il vero arbitro nel determinare se una domanda è ancora valida oppure definitivamente prescritta. Nonostante questo, la Cassazione ha riconosciuto alla richiedente un piccolo spiraglio: il diritto agli arretrati non ancora prescritti. Tuttavia, anche su questo punto, l’INPS è riuscito a contenere i danni, poiché gli interessi dovranno essere calcolati non dalla maturazione dei ratei, ma dal momento in cui la donna ha presentato formalmente la domanda.

In altre parole, un colpo al cerchio e uno alla botte, ma con un risultato complessivo che rafforza l’INPS e indebolisce chi spera di ottenere somme arretrate dopo anni o decenni di attesa. La morale di questa vicenda è chiara: chiunque intenda richiedere una pensione di reversibilità dovrà essere rapido, preciso e documentare ogni passaggio. Un errore nei tempi o nelle modalità può significare la perdita definitiva del diritto. Dopo questa sentenza, infatti, l’INPS non dovrà più arrampicarsi tra numeri e scadenze: basterà invocare la prescrizione, lasciando al giudice il compito di confermarla.

Una decisione che, oltre al caso singolo, apre un nuovo scenario: da oggi la reversibilità non è più un automatismo, e basta una scadenza dimenticata per dire addio a un sussidio che per molti rappresenta una vera ancora di salvezza.

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