Un po' di storia
È dalla metà del 1600, dunque, che i Trabocchi sono qui e quelli che vediamo oggi sono arrivati a noi con i vari passaggi di manutenzione. In origine, quindi, per dirla con le celebri parole di Gabriele d’Annunzio con funzione di “grande macchina pescatoria composta di tronchi intrecciati, di assi e di gomene” si presentano con le loro diverse anime: visitabili, didattici, ristoranti e anche come strutture private.
Sull'origine del nome le fonti più attendibili tracciano un collegamento con il “trappeto a trabocco” struttura utilizzata per la spremitura delle olive: alcuni trabocchi conservano ancora l’argano per la “salpata” della rete che replica il movimento della macina. Si fa riferimento anche al “traboccare” dei pesci nella rete: sui trabocchi che le montano per dimostrazione della tecnica di pesca, le reti superano i 270 metri quadrati di estensione.
Tutte le strutture sorgono in corrispondenza di “punte” e sfruttano la presenza di scogli per l’appoggio della paleria. Una curiosità: i fori per i pali sono di 20x20 centimetri e oggi, di fatto su quasi tutte le strutture, sono evidenti le “aggiunte” alla base, in ferro. Sono sezioni dei binari del treno che passava qui, materiale di risulta utilizzato a partire dagli anni ‘70 del Novecento.
E allora, ai tempi quando il “traboccante” tirava su la rete con un buon pescato, issava la camicia a mo’ di bandiera per comunicare alla moglie a terra la buona riuscita della “salpata”: che sventoli, dunque, idealmente anche in questo tour dei Trabocchi.
Sono indicati in successione, da nord a sud, con la loro funzione attuale. Sono 32 in totale, alcuni dei quali tutelati dalla Soprintendenza archeologia belle arti e paesaggio dell’Abruzzo, selezionati “con riferimento alle loro immutate capacità di riferirsi, ancora oggi, alle macchine da pesca originarie, seppur con minimi adattamenti e rinnovate funzioni” come si legge nelle motivazioni.